ALLA RICERCA DELLE NOSTRE RADICI:IL CASTELLARO DI PIGNONE

 ALLA RICERCA DELLE NOSTRE RADICI: IL CASTELLARO DI PIGNONE

Sono trascorsi ottant’anni dalla visita del Soprintendente alle Antichità della Liguria Luigi Bernabò Brea, allora giovane e già affermato archeologo, al piccolo rilievo situato di fronte al borgo di Pignone noto come Castellaro. Di nome e di fatto. Lo aveva capito il grande Ubaldo Formentini, uno dei padri della Lunigiana storica, nel momento in cui aveva sollecitato dapprima la visita di Bernabò Brea e anni più tardi, nel 1955, quando aveva sostenuto le ricerche sul sito da parte di Gino Bellani, pignonese, insegnante e pittore di fama, con una innata passione per l’archeologia. Grazie a quella campagna di scavi, proseguita nel 1956, furono gettate le basi per successive e più approfondite indagini meritevoli di ulteriori e interessanti sviluppi. Per decenni gli scavi effettuati dal Bellani furono suo malgrado visti dalla Soprintendenza ligure come una sorta di intervento non autorizzato in quanto concordato unicamente con il Museo civico della Spezia nella persona del Formentini. Ma il tempo saggiamente supera, con la buona volontà di tutti, incomprensioni e polemiche facilitando la ripresa del dialogo fra i pignonesi e le istituzioni dopo i lavori di cava compiuti sul versante della montagna in Comune di Beverino, ancor oggi visibili, che per fortuna hanno risparmiato la parte del sito archeologico lato Pignone. A nulla erano valse allora le proteste di un comitato di cittadini contrario all’attività estrattiva supportato dallo stesso Gino Bellani e da Bernabò Brea che si rivolge inutilmente con parole accorate al Ministero dei Beni Culturali ricordando l’importanza del Castellaro.
Interventi e saggi furono effettuati dalla Soprintendenza a più riprese, dapprima nel 1972 e successivamente fra il 1989 e il 1993. Arriviamo finalmente alla campagna di scavo del 2014, realizzata grazie a un finanziamento della Comunità europea e con l’importante apporto del Comune di Pignone, che ha interessato due distinti settori del sito evidenziando come i depositi più antichi siano stati pesantemente compromessi dalla realizzazione nel XVI secolo di terrazzamenti, con la creazione di numerosi muretti a secco. Gli archeologi hanno approfondito le ricerche nell’area contigua alle grotte indagate dal Bellani rinvenendo una struttura in muratura realizzata con grandi pietre poste a chiusura di una cavità naturale risalente al IV-III secolo a.C.. Tale struttura è stata rimossa fra il III e il II secolo a. C. per far posto a un nuovo muro rialzando opportunamente il piano di calpestio. Nella seconda fase delle indagini le ricerche si sono concentrate sul versante opposto che guarda verso l’abitato di Pignone prendendo in esame un terrazzamento a uso agricolo, realizzato alcuni secoli fa con l’utilizzo di pietre, che si è andato a sovrapporre a un precedente piano in cui la presenza umana è riferita a circa sei secoli prima. I ricercatori sono giunti alla conclusione, sulla base dell’interessante e ricco materiale raccolto dal Bellani prima e nel corso degli scavi successivi, che il Castellaro è stato abitato a partire dal XIII secolo avanti Cristo ininterrottamente fino all’età del Bronzo e del Ferro in vari periodi. Dal sottosuolo, nonostante i danni apportati in epoca recente, sono emerse ceramiche, testi per la cottura di cibi, utensili di vita quotidiana e, aspetto singolare, vasi e anfore di provenienza greco – italica, oltre a materiali in metallo. E’ documentato altresì l’allevamento di suini, caprini e ovini oltre alla caccia del cervo. Tutto ciò sta a significare che l’insediamento aveva rapporti stabili con altre comunità presenti sulla costa intrattenendo commerci e scambio di prodotti. L’arrivo dei Romani e l’assoggettamento delle popolazioni liguri comporterà il progressivo abbandono del sito che sarà rioccupato molti secoli dopo, nel corso del Medioevo, a partire dal XIII secolo e in epoca successiva, per usi prettamente agricoli.
Il legame fra il Castellaro e i pignonesi è stato da sempre profondo a testimoniare quasi un ritorno ancestrale alle proprie origini. Ancor oggi è forte il sentimento di rispetto della popolazione locale verso la propria montagna vista come un simbolo arcaico al quale rivolgersi con rispetto, un ambiente incantato fatto di rocce dalle fattezze curiose che paiono quasi rappresentare le genti che quassù hanno abitato per secoli.
Non è un caso che le ricerche condotte da Gino Bellani, coadiuvato da un gruppo di ragazzi del paese, crearono a quel tempo diffidenza da parte di molti anziani che guardavano ai ritrovamenti come a una sorta di profanazione dei luoghi. Eppure quelle ricerche, stimolate e volute dal Formentini, rappresentano ancor oggi una nota di merito per il Bellani, studioso del territorio e archeologo per passione, ricordato a giusta ragione in una mostra archeologica svoltasi da febbraio a marzo 2015 a Pignone presso l’Oratorio della Confraternita, organizzata dal Ministero dei beni e delle attività culturali con la collaborazione del Comune di Pignone, dopo la conclusione della campagna di scavi sul Castellaro.
Una ventina di anni orsono, in una sorta di pellegrinaggio collettivo all’interno della storia, il professor Enrico Calzolari, recentemente scomparso, condusse una folta rappresentanza di pignonesi alla conoscenza del Castellaro, fatto di affioramenti calcarei dalle forme spesso imprevedibili ed enigmatiche. Alcune donne, arrivate a contatto con una pietra a prima vista di nessun interesse, ma levigata in alcune parti forse dalla mano dell’uomo, ebbero come un sussulto. Frenesia del momento, suggestione? Nessuno, crediamo, saprà mai dare una risposta. Poco tempo prima il Calzolari aveva scoperto la farfalla dorata ai Monti di San Lorenzo sul Caprione non lontano da Lerici, ed era da tempo alla ricerca di un fenomeno simile in Val di Vara.
Il Castellaro di Pignone ha deciso fino a questo momento di rimanere impenetrabile e misterioso anche dopo la visita di Calzolari, rispettato, amato e temuto. C’è una persona che lassù oggi arriva a “dialogare” con il misterioso mondo che si nasconde fra le rocce carsiche e i muschi: è un volontario del Club Alpino Italiano e si chiama Pietro Andreani, per gli amici Piero. Periodicamente risale il sentiero tenuto ordinato e ben segnato da solo o in compagnia di amici che vogliono conoscere questo pezzo di Val di Vara segreta. Si è preso cura amorevolmente dei luoghi per quel rapporto ancestrale, di cui parlavamo prima, che lega lui e gli abitanti di Pignone al Castellaro, scientemente o meno.
Chi pensa di trovare ancora “pignatte” o di scavare abusivamente alla ricerca di tesori si metta l’anima in pace accontentandosi di leggere i pannelli esplicativi che accompagnano il visitatore lungo il percorso che dal borgo porta alla cima della montagna e ammirando gli imponenti muretti a secco costruiti in più fasi, dalla preistoria all’età moderna, che spaziano sul bosco circostante. Una grandiosa opera umana, che ha modellato nei secoli la montagna e che da sola ripaga della fatica della salita, in meno di un’ora, fra grotte, rocce carsiche, doline e un silenzio dal sapore antico e misterioso.



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