DALL'OCEANO GIURASSICO ALLA CAVA PREISTORICA DI LAGORARA

 DALL’OCEANO GIURASSICO ALLA CAVA PREISTORICA DI LAGORARA


Visitando il sito archeologico di Valle Lagorara la prima impressione è quella di tornare indietro nei millenni, ad una storia ancestrale che si legge sulle rocce dalle fattezze bizzarre, che solo l’occhio attento di uno specialista è in grado di comprendere appieno.
Se il versante occidentale del monte Scogliera, fra le cime imponenti di Verruga e Porcile, appare così particolare lo dobbiamo a un oceano del quale conosciamo il nome: Ligure – Piemontese. Torniamo molto indietro nel tempo prima ancora della comparsa dell’uomo sulla terra, a circa 170 milioni di anni fa, davvero una eternità rispetto al nostro vivere quotidiano. Siamo nel Giurassico Medio e questo grande mare viene progressivamente schiacciato fra Europa e Africa che tendono ad avvicinarsi fra loro: il continuo movimento della crosta terrestre porta da un lato alla nascita della catena alpina e di una parte dell’Italia settentrionale, dall’altro alla definitiva scomparsa dell’oceano.
Il diaspro, qui presente in enorme quantità, è il risultato dell’accumulo sul fondo del mare giurassico di microorganismi marini e rappresenta un singolare dono all’uomo preistorico alla ricerca continua di materiali di qualità da modellare per ottenere oggetti di uso comune e strumenti per la caccia. Ha una composizione interamente silicea con piccole quantità di ossidi di manganese e ferro ma quello di Lagorara presenta una particolarità importante: essere al tempo stesso duro e facilmente lavorabile.
Il risultato di questo grande processo di trasformazione che ha interessato nel corso dei millenni la nostra Terra è qualcosa di fantastico e irripetibile: Lagorara rappresenta oggi l’unica cava preistorica di diaspro a cielo aperto in Europa. Basterebbe questo dato per dire quanto sia ricco il nostro territorio, amato e talvolta dimenticato. E’ un destino che accomuna tanti beni culturali del nostro Paese che dovrebbero rappresentare una opportunità di sviluppo e una occasione di effettivo rilancio. Visitare Lagorara vuol dire misurarsi con qualcosa di eccezionale che racconta il lavoro umano dai primordi fino all’affermarsi dei metalli: il sito rappresenta una lunga fase compresa fra il 3500 e il 2000 avanti Cristo in cui per lavorare il diaspro erano utilizzate rocce dure che avevano la funzione di veri e propri martelli da lavoro, prima del definitivo affermarsi dell’uso dei metalli che costituiranno da quel momento in avanti un salto di qualità epocale.
Dobbiamo ringraziare per la scoperta un appassionato di Campore di Maissana, Sergio Nicora, che nel 1987 osserva che quella davanti a lui non è una semplice montagna di diaspro, associato al manganese a lungo estratto in questo territorio e nella vicina Val Graveglia, ma qualcosa di molto di più: una cava preistorica a cielo aperto attiva per oltre mille anni. Molto discusso il toponimo sul quale gli studiosi si sono spesso confrontati, talora con posizioni a dir poco bizzarre come quella della derivazione da un grande lago. A seguito della segnalazione di Sergio Nicora al quale si deve meritoriamente la scoperta, l’anno successivo inizia la campagna di scavi che si protrarrà fino al 1995 con risultati sorprendenti. La cava risulta sfruttata fino all’età del Bronzo a opera di popolazioni di etnia ligure, probabilmente della tribù dei Liguri Tigulli storicamente documentati nel Levante genovese. Dato sorprendente: il risultato del lavoro paziente degli antesignani dei moderni scalpellini è un semilavorato bifacciale, l’ogiva, che solitamente era portato in altre zone dell’Appennino dove, accuratamente ritoccato, diventava una micidiale punta di freccia. Interessanti ritrovamenti di materiale proveniente da Lagorara sono stati scoperti in vari siti, fra i quali Prato Mollo, Uscio e la Val Petronio nel Genovesato, a testimonianza del complesso commercio dei materiali estratti lungo la dorsale appenninica. Gli scavi archeologici hanno evidenziato, oltre alla lavorazione del diaspro, quella delle amigdale, utensili da taglio realizzate con pietre scheggiate a forma di mandorla. Non mancano, per quanto in piccola quantità, frammenti di ceramica e oggetti ornamentali realizzati con la steatite. Le aree di estrazione erano due come evidenziato dall’abbondante materiale di scarto della lavorazione ritrovato e due erano anche i ripari al di là dal torrente, oggi raggiungibili comodamente con un ponticello in ferro, dove avveniva la lavorazione del materiale, una sorta di laboratorio di trasformazione all’aperto. Sorprende anche la quantità di diaspro estratto in poco più di mille anni di attività, tenuto conto dei rudimentali strumenti da lavoro utilizzati: gli archeologi della Soprintendenza ligure stimano che siano state scavate almeno duemila tonnellate di materiale. Un dato a dir poco impressionante segno evidente che nel corso del tempo si sono avvicendati a Lagorara un buon numero di veri e propri scalpellini che operavano sul luogo stagionalmente.
Tutto il materiale rinvenuto durante i lunghi scavi è stato trasferito al museo archeologico nazionale di Chiavari nel quale è raccolto anche quello proveniente dalla necropoli ligure della stessa città portato a luce casualmente durante alcuni lavori edili.
La storia di Lagorara, oggi consegnata al silenzio, da visitare con il rispetto che si conviene a un luogo simbolo del millenario lavoro umano, ha visto nel corso dei secoli una periodica frequentazione. Sopra la stretta valle nei pressi della Rocca di Lagorara un tempo era presente un castello edificato dalla potente famiglia dei Fieschi, distrutto nel 1276 e ricostruito più tardi. Le soprese non finiscono qui. Sul versante nord del monte Verruga incontriamo i resti di un castellaro ligure, meritevole di essere studiato in maniera approfondita, con annessa area di culto formata da grosse pietre tonde alte circa due metri e nei pressi, poco più in basso, la cappella dedicata a S.Bernardo edificata su un masso altare a significare la continuità di culto dei luoghi anche con l’avvento del Cristianesimo.

Si ringraziano per la collaborazione Marco Vassalli, presidente della Associazione Culturale “Diaspro Rosso” di Maissana e Pietro Andreani, autore del materiale fotografico che accompagna la descrizione. Nella foto il sito archeologico di Lagorara.


AVVERTENZA
Prima di avventurarsi in una visita al sito di Lagorara è bene equipaggiarsi in modo idoneo tenuto conto che il percorso da compiere fra andata e ritorno è di circa due ore. Si consiglia di contattare preventivamente il Comune di Maissana per ogni esigenza, anzitutto nel caso della presenza di gruppi. L’area archeologica si trova sopra l’abitato di S.Maria raggiungibile con la strada provinciale che si stacca poco prima di Varese Ligure che riporta l’indicazione di Maissana. E’ consigliabile per chi arriva con il proprio mezzo parcheggiare vicino al cimitero e all’attiguo parco giochi comunale proseguendo a piedi per qualche chilometro prima su strada asfaltata e poi su sterrato in ripida salita. Superato il paese, in assenza di segnaletica, è necessario proseguire fino all’incontro di due strade bianche, superata di un centinaio di metri una casa in pietra e un bel castagneto recintato. Seguendo la sterrata inizialmente in piano a destra si arriva alla cappella di S.Bernardo che tralasciamo svoltando viceversa a sinistra in leggera salita. Durante il percorso ci accompagnano piante di ciliegio e castagneti secolari che ci ricordano le coltivazioni di un tempo con alcuni edifici in pietra solo in parte restaurati. Siamo attorno ai 750 metri sul livello del mare: sulla sinistra, scendendo per breve tratto per poi risalire ci accompagna il rumore delle acque del torrente che iniziano la rapida discesa a valle, a destra il versante occidentale del monte Scogliera con i rossi affioramenti di diaspro e lo sfasciume del pietrisco ci introduce al singolare mondo di Lagorara con la possibilità di poter visitare, facendo attenzione a salire e scendere, le aree di lavorazione della cava. In alto, di fronte a noi, l’imponente mole del monte Porcile che nelle viscere nasconde i resti delle antiche miniere di manganese. Oltrepassato il torrente, a destra dopo una decina di metri l’imbocco di una grotta ostruita da detriti e acqua, a sinistra seguendo il corrimano le aree di lavorazione del diaspro. E’ presente anche una piccola sorgente di acqua perenne.




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