SUVERO: UN BORGO, UN MARCHESE ILLUMINATO E UN CARNEVALE DAVVERO SPECIALE.
Salendo al borgo montano di Suvero, in Comune di Rocchetta di Vara, ci appare in lontananza una sorta di imprendibile nido d’aquila proiettato sulla valle, che si protende severo a sorvegliare da un lato Veppo e dall’altro lo Zignago. Il toponimo deriva con ogni probabilità dal latino Supernus e sta a significare località posta in alto, termine ben appropriato al borgo collocato in posizione strategica lungo l’asse viario che da Brugnato porta in Lunigiana. Prima dell’arrivo di Rinaldo Malaspina, il paese unitamente a Rocchetta di Vara , Stadomelli e Beverone faceva parte del marchesato di Villafranca Lunigiana, che ritroveremo più avanti nelle vicende che interessano questo ramo malaspiniano. Le innumerevoli suddivisioni all’interno della famiglia porteranno nel 1535 alla nascita del Marchesato di Suvero che finirà per assumere rilevanza nel complesso scacchiere politico lunigianese.
La costruzione del castello come struttura fortificata è opera di Rinaldo ed è conseguenza della nascita del Marchesato. I lavori saranno ultimati alla sua morte, avvenuta nel 1563, dal figlio Torquato. Di forma trapezoidale con tre torri e articolato su due piani il maniero fu edificato su una precedente struttura militare nata quattro secoli prima che rappresentò a lungo uno degli avamposti a difesa del territorio dei Vescovi di Brugnato di cui Suvero faceva parte.
Torquato nasce a Suvero nel 1557, primogenito di Rinaldo e Lavinia. Quest’ultima, alla scomparsa del marito, si trasferisce con i familiari a Villafranca Lunigiana dal fratello, il marchese Federico Malaspina. Fin da giovanissimo Torquato dimostra grandi doti che lo porteranno a diventare personaggio di particolare spessore culturale: frequenti saranno i suoi viaggi a Pisa dove conoscerà Giovanbattista Strozzi con il quale stringerà un profondo rapporto di amicizia. Giovanbattista detto il Giovane, coetaneo di Torquato, era discendente del ramo cadetto della nobile famiglia Strozzi e a lui dobbiamo la trasformazione dell’Accademia fondata nel 1569 da Tommaso del Nero in quella degli Alterati che avrà un ruolo importante nel panorama culturale fiorentino fra Cinquecento e Seicento. Il 1577 sarà per il giovanissimo Torquato l’anno della svolta: a Firenze, ospite dello Strozzi, frequenterà l’Accademia degli Alterati sviluppando l’interesse per la storia e la letteratura e nello stesso tempo acquisirà dai fratelli Fabio e Leonida, coeredi del feudo di Suvero, i diritti sul marchesato attuando profonde riforme a favore dell’infanzia e del mondo contadino, per il quale istituirà il Monte Frumentario attraverso cui supportare e migliorare le produzioni agricole. La distribuzione gratuita della semente con l’obbligo di ricevere la stessa quantità a raccolto effettuato rappresenta una modalità di scambio ancor oggi molto diffusa in Alta Val di Vara e significativamente nei territori di Rocchetta di Vara e Zignago. Nel 1582 Torquato eredita dal cugino Orazio il feudo di Monti, località della Lunigiana in Comune di Licciana Nardi, dove ancor oggi è possibile ammirare il grande castello malaspiniano unico ad essere rimasto in dote agli eredi del grande casato insieme a Fosdinovo. La presenza a Monti di Torquato fu breve ma significativa; purtroppo la sua prematura scomparsa portò nel 1638 alla sollevazione della popolazione che si pose spontaneamente sotto la guida del Granducato di Toscana. Frequenti sono i suoi viaggi a Firenze non esclusivamente dettati da interessi culturali ma da incarichi conferitigli dai Medici. Sposatosi nel 1585 con Euridice Malaspina, figlia di Stefano, marchese di Madrignano, ha da lei un figlio al quale è imposto il nome di Rinaldo, come il nonno. Torquato muore prematuramente nel dicembre 1594 di vaiolo a Monti e per volere della madre è sepolto nella chiesa di S.Francesco, da sempre cara ai Malaspina, a Villafranca Lunigiana.
La vita e le opere di Torquato Malaspina, marchese illuminato e di profonda cultura che seppe in modo intelligente rapportarsi alla comunità rurale suverese e al tempo stesso alla esigente corte fiorentina, sono stati descritte con cura e dovizia di particolari dal professor Riccardo Barotti nel libro edito nel 2005 dedicato al “marchese di Suvero e Monti, feudatario, cortigiano e letterato” come recita significativamente il titolo. Torquato appare antesignano di un mondo che sarebbe nel volgere di pochi secoli mutato profondamente con la fine del feudalesimo: da qui la sua modernità e il testamento culturale e morale lasciato ai posteri. Nel frattempo anche la storia del castello di Suvero volge fatalmente alla fine con l’ultimo Malaspina, Torquato IV, che cede il maniero nel 1808 a un privato fino alla acquisizione da parte della famiglia Romani che ne è oggi la proprietaria.
Girando per i carruggi del paese una visita non frettolosa merita la chiesa di S.Giovanni Battista posta di fronte al castello sul limitare di un’ampia piazza, eretta per volere di Torquato durante la sua signoria. A pianta a croce richiama nella maestosità l’impianto malaspiniano, impreziosita da un bassorilievo in marmo bianco raffigurante la Vergine con il Bambino risalente al 1497 e ospitato nella cripta. La vicenda che ha portato alla nascita della chiesa val la pena di essere raccontata. Nella vicina località di Molino Rotato, lungo la strada che da Suvero conduce a Pieve di Zignago, un tempo sorgeva un edificio religioso, San Salvatore “de Situla”, documentato nel Medioevo e demolito alla fine del XVI secolo su ordine del vescovo di Brugnato con l’affermarsi del ruolo centrale di Suvero. Oggi, a mezza strada con Molino Rotato, sorge la piccola chiesa della Madonna della Neve edificata in epoca moderna nel XIX secolo nelle vicinanze o su quello che fu San Salvatore.
L’ultimo sabato prima della Quaresima a Suvero si svolge un carnevale particolarissimo che ci riporta indietro nei secoli facendoci rivivere una tradizione antichissima, quella dei Belli e dei Brutti. E’ nata recentemente una associazione volta alla tutela e alla valorizzazione di questo carnevale che rappresenta, insieme a quello di Zeri, una sorta di ancestrale retaggio della tradizione popolare della Lunigiana storica. Rispetto a quanto avviene nello Zerasco a Suvero, accanto ai Belli, che hanno abiti colorati e vivaci con campanelli e cappelli ornati con nastri variopinti, troviamo le sinistre figure carnevalesche dei Brutti, con il viso dipinto di nero, vestiti con abiti dimessi e con lunghe e grossa corna sulla testa, che alla vita portano legati rumorosi campanacci. Mentre i primi fanno ballare allegramente le donne delle famiglie che incontrano in paese e nelle case sparse dell’antico marchesato, i Brutti non risparmiano scherzi e sollazzi. Non mancano, durante questo viaggio sul territorio che precede il corteo carnevalesco in paese, pane e companatico per tutte le maschere. Quale significato dare a un carnevale particolarissimo che negli anni ha assunto meritata notorietà e sviluppato rapporti di collaborazione soprattutto con analoghe manifestazioni sarde? Sicuramente il contrasto fra il bene e il male che è alla base stessa dell’esistere umano ma anche il passaggio dalla stagione invernale alla primavera che è interpretato significativamente dalle maschere suveresi con il contrasto fra Belli e Brutti. A nostro modesto avviso esiste un ulteriore elemento che contraddistingue questo da altri carnevali. Quella di Suvero è infatti una esperienza unica che viene mantenuta e salvaguardata grazie ai giovani che rappresentano la continuità rispetto al passato: a loro sempre di più spetta portare avanti questa manifestazione unica e consentiteci non replicabile! Serve semmai supportare questo sforzo cercando di sviluppare ulteriormente le ricerche etnoantropologiche che trovano una prima sintesi nella apprezzabile pubblicazione “Maschere di Carnevale nell’estrema Liguria orientale” di Lorena Calabria, bibliotecaria presso il Comune di Sesta Godano, affinchè i giovani interpreti assumano piena consapevolezza della straordinarietà e bellezza di una manifestazione che trova presumibile fondamento all’interno dell’antico mondo ligure – apuano. A ben vedere questo carnevale rappresenta uno dei “marcatori” etnoantropologici più importanti che affonda le sue radici nel mondo agro–silvo– pastorale della Lunigiana storica, costituendo un pezzo del complesso mosaico che va ricomposto con pazienza e cura laddove possibile.
Prima di lasciare Suvero e scendere a valle consigliamo viceversa di salire a piedi o in macchina fino alla pineta di Suvero, tutelata dalle normative europee e proprietà dell’Uso Civico. Si tratta di un’altra particolarità del territorio suverese dove, al pari di altre parti dell’Alta Val di Vara, sopravvive l’istituto del bene indiviso noto anche come frazionale, ASBUC o comunaglia che dir si voglia. La pineta rappresenta un complesso e delicato mondo vegetale, frutto del recente intervento umano che ha cercato così di porre argine al dissesto idrogeologico con una complessa opera di bonifica. Fra il 1925 e il 1935 furono impiantati numerosi esemplari di pino nero e pino silvestre sotto la direzione del responsabile del Corpo Forestale dello Stato, Pietro Gabrielli, nativo di Poppi in Casentino. L’intervento strutturale su un ampio territorio che dal confine con il Comune di Calice al Cornoviglio porta al limitare di Molino Rotato e Fontanafredda fu reso possibile in virtù della legge 3134 del 1928 grazie alla quale il fascismo adottò un piano pluriennale per la bonifica integrale riguardante zone paludose e montane. Nulla fu lasciato al caso: si pensò, in sintonia con le indicazioni del regime, di dare alla pineta la forma di un fascio littorio, visibile ovviamente dall’alto. Guardare oggi al passato con l’ottica di offrire una lettura storica puntuale dei fatti ci consente di comprendere perché nacque la pineta e in quale contesto. A noi spetta guardare all’oggi e capire semmai come sarà possibile tutelare in futuro questo grande patrimonio da preservare e migliorare con le conoscenze acquisite in questi decenni. A ben vedere in discussione non è solo una foresta ma l’intero habitat montano che va riconsiderato e migliorato prima che l’abbandono delle aree interne non diventi irreversibile con la perdita di un inestimabile patrimonio non solo naturale ma umano.
Nella foto esterno del castello malaspiniano di Suvero