SAN GOTTARDO: STORIA DI UN BORGO SCOMPARSO E DI UN TORRENTE INSANGUINATO

 SAN GOTTARDO: STORIA DI UN BORGO SCOMPARSO E DI UN TORRENTE INSANGUINATO


Storia o leggenda che sia, è pur sempre una vicenda atroce: un intero paese scompare d’improvviso. Viene distrutto; i suoi difensori e gli abitanti in gran parte trucidati.
Il fenomeno purtroppo non è raro nel millenario cammino dell’uomo, e specialmente, caduto l’Impero Romano, durante l’oscuro periodo medievale contrassegnato da invasioni barbariche, orde di predoni. venute da terra e dal mare. Misteriose stragi e devastazioni si contano pure in territorio spezzino: la scomparsa di Albareto, alle spalle del monte Soviore tra Pignone e Monterosso; di Barbazzano nel Lericino; di Serramaggiore sulle alture di Zignago, di San Gottardo su quelle di Riccò del Golfo che oggi visitiamo.
Il “viandante” Carlo Caselli, che il 28 luglio 1930 partì dalla Spezia “a trotto d’asino per riscoprire la Lunigiana”, descrivendo in seguito sul giornale “Il Telegrafo” le tappe del suo avventuroso viaggio, andava puntigliosamente alla ricerca di notizie atte a portare un po’ di luce su borghi della Val di Vara e della “Lunigiana ignota”; angoli di territorio ancora sconosciuti ed ignorati dai più essendo lontani da strade rotabili e raggiungibili solo attraverso sentieri.
E quando non trovava documentazioni scritte, in quanto non ne esistevano, inseguiva testimonianze orali, le più autorevoli possibili, tramandate di generazione in generazione.
A proposito del San Gottardo egli scrive: “Il parroco di Ponzò, don Celsi, additando il monte San Gottardo, che porta in vetta un oratorio nel quale si venera l’immagine della Madonna di Loreto, oratorio costruito da circa un par di secoli sulle vestigia di un antichissimo e grand’edificio, ritenuto un castello, riferisce che è tradizione che esistesse lassù una città, distrutta barbaramente dai Turchi. Sempre secondo la tradizione, per il sangue versato dagli innocenti cristiani abitatori della città di San Gottardo, rosseggiò per diversi giorni il canale Gariolo che scende dal monte e muore nel rio di Riccò”.
“Questa credenza popolare – continua Caselli - può fornire argomento a diverse considerazioni. Sul monte San Gottardo (m.554) v’era certo un antichissimo abitato, che potrebbe essere stato distrutto dall’invasione longobarda di Rotari, com’è tradizione per Albareto, e la popolazione sopravvissuta si sarebbe ritirata in riva al mare edificando Vernazza. Così avvenne di Monterosso per la popolazione di Albareto”. Il devastante passaggio dei Longobardi specificamente tra San Gottardo e Soviore troverebbe in tal modo conferma.
“A quanto attesta lo storico Paolo Diacono - scrive Gino Bellani nel suo bel libro intitolato “Pignone” - Rotari, proveniente da Luni, raggiunse Pignone seguendo l’antichissima litoranea indicata da Polibio e da Pignone risalì la strada romana per Soviore. Lungo il percorso le orde barbariche saccheggiavano senza pietà. Avrebbero anche incontrato il leggendario centro dì epoca bizantina di Albareto e, avidi di bottino, lo avrebbero distrutto completamente, disperdendone gli abitanti. Albareto era con ogni probabilità un “vicus ligure”.
In vetta al monte San Gottardo , sulle probabili rovine di un antico castello - come scrisse Caselli - venne costruito un oratorio, tuttora esistente, dedicato alla Madonna di Loreto. Più che un semplice oratorio, è un santuario, dove N.S. di Loreto è onorata la seconda domenica d’agosto ancora con partecipazione di popolo da Riccò, Ponzò e specialmente da Valdipino e Casella, alle pendici meridionali del monte, oltre che da Camedone, Falabiana e Bovecchio sul versante di nord est.
L’evento non assume i connotati della festa di una volta, particolarmente attesa dai bambini in quanto saliva lassù una merciaia con la bancarella dei dolciumi e dei giocattoli, tuttavia la tradizione si perpetua tramite un modesto banco gastronomico all’aperto a conclusione delle funzioni religiose.
La professoressa Nanda Fellerini ricorda (all’epoca aveva appena nove anni) una tradizione nella tradizione: saliva a San Gottardo, per la festa della Madonna di Loreto, una delegazione di aviatori portando fiori alla loro patrona.
Bovecchio è alle spalle del monte San Gottardo e la sua storia corre parallela, come quella di Camedone, posto più in basso, a quella di Ponzò che fu importante sede podestarile sotto la Repubblica di Genova, cui abbiamo dedicato un precedente articolo della rubrica “Scopri la Val di Vara”. Il toponimo Bovecchio deriverebbe da “ borgo vecchio”, un “vicus” che sorgeva nella parte alta, indicativamente presso le attuali Case Soprane, e che avrebbe avuto un proprio castelliere. Il borgo, secondo i canoni dell’architettura rustica fatta di archi bassi e possenti, di mura robuste, di scalette e passaggi coperti e di piccoli ingressi, ha la sua piazzetta e l’oratorio.
Pure il borgo di Camedone, nella sua foggia rustica, si stringe attorno alla propria piazzetta e al piccolo oratorio dedicato a San Genesio. Come Bovecchio, e come tutti i paesi delle aree collinari della Val di Vara, Camedone si reggeva sino ai primi anni del dopoguerra su un’economia essenzialmente agricola. Tuttavia, a differenza di Bovecchio, in qualche famiglia si arrotondava il bilancio domestico con una prestazione di lavoro artigianale, nello specifico la lavorazione dei tessuti. Esisteva a quel tempo un rapporto stretto con Valdipino, paese dove quasi tutte le famiglie possedevano un telaio per confezionare i tessuti di mezzalana (per il vestiario maschile), la budana per le gonne e il listrà per le sottane. Nel fervido opificio di Valdipino, tra le operazioni da svolgere, c’era quella della battitura dei tessuti, una volta immersi nell’acqua, grazie ad un apposito strumento mosso da un mulino, detto “fulu”. Naturalmente a Serenella, a Valdipino ed a Casella l’acqua non mancava, utilizzando canali con acqua perenne, il rio Riccò e il canale Trambacco,
Meno fortunato Bovecchio, che faceva tesoro di una fonte storica fuori paese, accanto alla quale era stata costruita un’apposita vasca dove le massaie potessero lavare i panni. E le bambine imparavano presto, quasi per gioco, ad insaponare diligentemente gli indumenti con scagliette di sapone di Marsiglia usato dalle mamme.
Lassù, sul colle di San Gottardo, resta viva la memoria di un borgo scomparso nel nulla, fra storia e leggenda, insieme a quella di un piccolo rio macchiato per giorni dal sangue di gente innocente. .

Nella foto immagine del Santuario di San Gottardo con un gruppo di escursionisti del Club Alpino Italiano ( gc. Luciano Bonati )



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