Le teste apotropaiche

Molte delle espressioni artistiche della Val di Vara, dalle più arcaiche ai volti di pietra scolpiti,
agli architravi delle case, sono state costruite con l’arenaria, pietra locale.
Dal suggestivo mondo dell’arte popolare più recente ma dalle radici profonde, sono giunti fino a noi i cosiddetti faciòn,
enigmatici volti di pietra che ancora oggi, in diversi borghi rurali, ci guardano dagli angoli o dagli architravi dei portoni delle case.

I Guardiani di Pietra. Una tradizione scultorea della Lunigiana storica.
Di Rossana Piccioli (Etnografa e Saggista)
Percorrendo i borghi della Lunigiana storica sembra che sia la pietra la sua vera spina dorsale, o il suo cuore più profondo, più antico.
Tutte le forme artistiche, dalle più arcaiche delle pietre fitte non figurate alle statue stele protostoriche, ai volti di pietra scolpiti,
agli architravi delle case, si sono servite di questa grigia pietra locale.
Di quel suggestivo mondo dell’arte popolare più recente ma dalle vaste radici, sono giunti fino a noi quegli enigmatici volti di pietra
che ancora oggi, in qualche borgo della montagna, ci guardano dagli angoli delle case mantenendo tenacemente celato il loro vero significato.
Forse questo senso di mistero permane perché non c’è un unico significato in quelle sculture,
ma un comune substrato che attinge a quel mondo vasto e sfuggente costituito dalle credenze superstiziose,
dall’immaginario fantastico che ha sempre accompagnato l’uomo e di cui i faciòn, o teste apotropaiche,
come sono spesso denominate, sono certamente espressione.

Da sempre queste teste e questi volti umani di pietra hanno incuriosito, hanno spinto ad azzardare ipotesi, attribuzioni, confronti; a volte ci soccorre una data,
magari incisa sull’architrave dove compare il volto scolpito, ma i casi del genere sono davvero pochi.
Il quesito è dunque ancora lo stesso: che cosa o chi rappresentavano questi volti di pietra, quale funzione avevano?
La straordinaria continuità di spazio e tempo della tradizione di scolpire volti umani ci fa pensare che si tratti veramente di un archetipo.
Il fenomeno infatti non appartiene solo alla Lunigiana, anche se nelle nostre valli, specie quelle della Val di Vara, sembra essere stato molto diffuso:
numerosi esempi si hanno anche per il territorio emiliano, nelle valli del chiavarese, nell’antemurale fra il Gottero
e il pontremolese e nella Garfagnana, ma in generale, dal punto di vista folclorico, si può affermare che la tipologia simbolica
appartenga al dna più profondo di tutte le comunità rurali, e in particolare quelle legate alla montagna, alla loro credenza nel malocchio,
nelle influenze negative, nelle presenze pericolose che si credeva popolassero lo spazio degli uomini.
Nonostante l’ipotesi di una funzione prevalentemente scaramantica e protettiva di queste sculture sembri quella più accreditata,
il fenomeno è di così vasta portata da presentare ancora molti punti oscuri ed è difficile stabilire se e fino a che punto la funzione che potremmo genericamente definire
magico-religiosa in senso ampio viva come motivazione unica e autonoma oppure si diluisca e affianchi l’intento puramente decorativo e stilistico.

Il mondo rurale e soprattutto quello pastorale dei lunghi inverni bui che ha espresso questa particolare tradizione di scultura spontanea,
era un mondo fortemente animista, un mondo dove i santi canonici sono entrati molto tardi e a volte rivestiti di panni tutt’altro che cristiani.
Un mondo dove le camere da letto e le soglie di casa erano sempre provviste di mazzi di “carline” o di pungitopo per tenere lontane le streghe,
dove sulla porta delle stalle si legavano i nastri rossi contro il mal d’occhio che poteva far morire il bestiame,
o contro il folletto che lo stregava.

Le nostre valli e le nostre alture sono sempre state abitate da spiriti e da fate: è possibile pensare che tutte queste teste dagli occhi ben aperti,
oggi così mute, fossero per chi le ha scolpite e le ha poste in alto sugli stipiti o in vista dei crocicchi o dei cimiteri, solo oggetti decorativi?
L’antica, universale e radicata superstizione della “mal’aria” e dei venti cattivi,
dei mulinelli dove si credeva si annidassero gli spiriti negativi viene subito alla mente e fa suggestivamente risuonare le corde profonde dell’immaginario,
quelle che forse, nella nostra frenesia moderna, credevamo ormai perdute.